lunedì 16 gennaio 2012

Tranquilli, il rock è morto


La musica “dura” è fuori dalle classifiche e lontano dai movimenti popolari

“Il rock’n’roll morirà entro giugno”.
La rivista americana Variety, a cui va attribuita questa affermazione datata 1954, non fu certo lungimirante nel prevedere l’evoluzione dei gusti musicali del secondo Novecento. In molti altri si sono azzardati, nel tempo, a dichiarare imminente la morte del rock, ma nessuno ci ha mai voluto credere, continuando ad imbracciare chitarre elettriche.


Eppure oggi le classifiche di vendita sono dominate da musica pop, r’n’b e rap. E anche nei movimenti di piazza, i vari Occupy che hanno invaso l’occidente, manca una canzone simbolo, un inno. E il rock? La musica dura che aveva rappresentato la ribellione, la virilità, l’impulsività giovanile? Pare quasi inghiottito dall’indifferenza. Prendiamo i Coldplay (sempre in classifica), ad esempio: senz’altro si sono fatti le ossa sul rock, ma riuscireste a definire la loro musica di oggi diversamente da “pop”? Non che questo significhi automaticamente una perdita di qualità, ma duettare con Rihanna non è come cantare a Woodstock, ecco.

Il dibattito, cominciato con un articolo di Gino Castaldo su La Repubblica – titolo perfetto: “Il grande silenzio del rock” – sta chiamando a raccolta le più disparate opinioni, tutte volte a constatare lo stato di salute del paziente in questione. Castaldo descrive le band rock odierne incapaci di farsi portavoce di battaglie generazionali, preferendo un profilo più basso e aristocratico: “un sintomo inequivocabile è l'eterno ciclo delle vecchie band che decidono di tornare in pista, dai Black Sabbath ai Beach Boys”. Per il rock è ormai difficile districarsi tra le maglie del mercato.

Ernesto Assante, dal suo blog, si concentra invece su un altro punto della questione, ovvero la perdita di peso specifico della musica: “è un prodotto consumabile di puro intrattenimento, che non chiede a chi ascolta di aderire a un progetto, di sognare o immaginare mondi migliori o possibili, o anche soltanto di fermarsi un attimo e pensare”. In poche parole: la musica rock, nel senso di “dura, elettrificata”, continuerà ad esistere, ma non sembra possa prendersi la responsabilità di guidare rivoluzioni generazionali.

Effettivamente di band rock, oggi, ne esistono milioni, e anche di ottima qualità. Ma nessuna incarna quell’anima anticonformista che, dagli anni ’50 in poi, ha permesso le grandi rivoluzioni culturali del Novecento. Rock’n’roll, hard rock, progressive, punk, metal, grunge: ripercorrendo le etichette più importanti attraverso il quale lo spirito del rock ha cambiato forma, sembra ripercorrere lo spirito di un secolo intero che solo adesso, ascoltando quasi solo Rihanna o Bruno Mars alla radio, percepiamo estinto.

Peccato. Ma non buttiamoci giù: nessuno ci toglierà la gioia virile di ascoltare suoni chitarrosi, acidi ed elettrificati. Guarderemo ancora “Easy Rider” sognando la frontiera americana con Steppenwolf e Byrds; o ci ricorderemo di una gioventù sballata con Iggy Pop che canta sulla pellicola schizzata di “Trainspotting”.
Ma di questi tempi, per dirla con Castaldo, è più probabile che sia un “tweet” e non un assolo di chitarra a muovere i nostri sederi verso un futuro migliore.

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