martedì 6 settembre 2011

Uno "Strega" troppo di provincia


l libro di Edoardo Nesi, vincitore del “Premio Strega” 2011, è a tratti toccante, ma non riesce a parlare con la voce di un Paese intero.
Il titolo è perfetto: “Storia della mia gente”. Anche il sottotitolo suona bene: “La rabbia e l’Amore della mia vita da industriale di provincia”. A giudicare da questi primi elementi, il libro che ha vinto il premio letterario più famoso d’Italia, quest’anno, sembra levarsi a gran voce per parlare del nostro Paese tutto. Caratteristica adatta ad intascare il premio e porsi come scritto importante per capire l’Italia, soprattutto in anni come questi, in cui chi governa tenta di far capire il meno possibile a chi è governato.

Leggendo il bel libro di Edoardo Nesi, mi accorgo che l’intenzione è proprio quella: far leva sulla propria storia personale da imprenditore di provincia – siamo nel florido distretto tessile di Prato, seconda metà del Novecento – che con la globalizzazione perde tutti i privilegi acquisiti, per farsi voce di un disagio generalizzato dell’intera Italia di fronte a politiche interne che hanno lasciato l’economiadel nostro Paese a farsi sbranare dalle nuove leggi del mercato. Leggi anche: il crollo di un sogno industriale che sembrava infinito, la disillusione di fronte alla new economy (nascono qui “la rabbia e l’amore” del sottotitolo), la certezza che quella che lui chiama “la mia gente” – pratesi o italiani; o meglio, italiani in quanto pratesi – non si darà per vinta: “Voglio continuare a camminare insieme alla mia gente. Non so dove stiamo andando, ma di certo non siamo fermi”.
La storia del distretto di Prato, vista con gli occhi di chi ci ha perso l’azienda di famiglia, è scarnificata in modo elegante e viscerale. Nesi accompagna pian piano il lettore tra le pieghe (o le piaghe) della storia, ricordando i danni del WTO, della globalizzazione economica, dell’eccessiva fiducia degli economisti italiani e del rapporto con i cinesi che hanno invaso la provincia italiana, col loro lavoro disumano a “costo zero”, lasciando tutto ciò che non è reddito nel più totale abbandono, anche la propria igiene personale.
Ciò che non riesce allo scrittore pratese è catalizzare tutta questa rabbia per farla condividere a chi pratese non è, ma pure ha le sue beghe lavorative, i suoi problemi col territorio, i suoi guai con la new economy. Lo stile di scrittura di Nesi è elegante, ma spesso finisce nell’essere autoreferenziale citando sé stesso nei suoi libri precedenti, o riferendosi ai suoi miti letterari (numerosi, forse troppo, i riferimenti a Fitzgerald e Pynchon). Col risultato controproducente di stemperare la rabbia quando invece andava premuto sull’acceleratore: il lettore non è trasportato dal giusto pathos – a cui pure si fa un esplicito riferimento nel già citato sottotitolo – e legge quella di Prato come una storia di provincia, non come una storia italiana.
Peraltro, Ivan Scalfarotto dal suo blog fa notare che le fortune del distretto tessile di Prato non sono tutte dovute a particolari meriti talenti degli imprenditori della zona. Questo fatto Edoardo Nesi lo ammette più volte nel libro:  “Una lunga e fortunatissima cavalcata che… aveva trasportato tutti, capaci e incapaci, industriali e dipendenti, ben oltre i loro limiti”. (…) “Ma la cosa davvero bella, la cosa assolutamente strepitosa era che non bisognava essere un genio per emergere, perché il sistema funzionava così bene che facevano i soldi anche i testoni, purché si impegnassero; anche i tonti, purché dedicassero la vita al lavoro”.
Infatti l’autore si prende la responsabilità di dire che se “il Natale” di Prato è finito, lo si  deve anche alla negligenza di chi veniva chiamato imprenditore e da tale voleva essere trattato, ma era invece solo un artigiano. Sono state anche l’incapacità di rinnovamento e di attuare politiche industriali di crescita a far svilire gli affari pratesi.
“Storia della mia gente” è quindi è una storia che si confronta col nostro tempo e (punto di forza del libro) con la presa di coscienza del provincialismo italiano, incapace di cavalcare la modernità. Almeno questa pare l’intenzione. Nesi ci riesce solo a tratti, quando riesce a guardare oltre se stesso e a ricordarsi che parla agli italiani. Un popolo molto, forse troppo eterogeneo.

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