lunedì 26 settembre 2011

Napoli vista dall'inferno - il nuovo libro di Peppe lanzetta


Tutto è cominciato perché, quando è uscito Gomorra, Roberto Saviano mi ha mandato una copia del suo libro con una dedica un po’ impegnativa: “a Peppe Lanzetta che per primo ha messo viso e mani all’inferno”. Ma come si fa a parlare dell’inferno quando poi ci vivi dentro, lo mastichi, lo digerisci, lo inghiotti, lo respiri?
Anche così può nascere un libro, da una dedica importante e con un’assunzione di responsabilità. Quella che d’altronde Peppe Lanzetta si è sempre preso. Sì, perché l’artista napoletano (è anche cabarettista, attore e musicista) ha sempre scritto di Napoli e per Napoli, quella nascosta dai turisti, traffichina e pezzente, disumana nella sua eccessiva umanità, nella sua anarchia, nella sua capacità di accogliere tutti senza discriminazioni e senza visto d’ingresso.

Napoli come una voragine che inghiotte tutto, che fa affari con tutti e che può apparire nello stesso momento sogno interrazziale altrove irrealizzabile e inferno quotidiano.
Lanzetta, pur amandola, non salva mai la sua città nei suoi libri, anche se da lì non se ne è mai andato e forse mai se ne andrà. Il suo vivere la città lo rende la firma più autorevole con cui conoscere il cuore di Napoli: questo Saviano lo sa e la sua dedica non è stata casuale.
Leggere per credere: i racconti di Lanzetta, tra i migliori esempi di short stories in Italia degli ultimi decenni, come ad esempio “Figli di un bronx minore”, “Incendiami la vita” o “Racconti disperati”.
Infernapoli”, questa la sua ultima prova letteraria, edito da Garzanti, è un noir incentrato sulla figura di Vincent Profumo, boss vecchio stampo della camorra napoletana. Feroce e potente, trova però il giusto tempo da dedicare ai suoi vezzi: le opere di Maria Callas e la devozione a Padre Pio su tutte.
Circondato da una famiglia che vive nell’agio e che prova rancore per una vita sacrificata alla causa criminale, Profumo aprirà una sanguinosa guerra tra le viscere della città con il Cinese e la sua potente mafia orientale.
A stemperare la tensione, Lanzetta disegna col suo stile dettagliato gli “scagnozzi” del boss: Rigoletto, Figaro e Johnny Tarallo (vero nome Giovanni Esposito) sono macchiette che potremmo trovare nei vicoli di Napoli (e di cui sono pieni tutti i libri di Lanzetta) e che l’autore usa come dei moderni Virgilio, guide attraverso l’inferno cittadino.
Il libro ha però di un difetto di cui soffre in generale tutta la prosa di Lanzetta: è una storia che si misura sulla lunga distanza del romanzo e, in quanto tale, a volte perde in immediatezza e a tratti la scrittura procede stanca, quasi a voler colmare vuoti inevitabili.
Lo scrittore napoletano ha costruito tutta la sua fama (che è molto minore rispetto a quanto la sua scrittura e le sue storie davvero meritino) su brevi storie lancinanti e piene di pathos, in cui il lettore si lascia trasportare in un mondo che a primo impatto non gli appartiene. Quando invece la storia si dilata, come in un romanzo, i ritmi si fanno più piani e il sacro fuoco della lettura sembra affievolirsi.
Peppe Lanzetta è la penna più autorevole per addentrarsi e comprendere la complessità di una città sempre viva come Napoli. La sua è una scrittura cruda, impura, contaminata, lontana da esercizi di stile. E pure “Infernapoli”, nonostante la sua imperfezione, fa risuonare bene la principale virtù di quest’artista: rendere viva l’immaginazione del lettore.

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