domenica 21 agosto 2011

Welcome to “The Regency” - Con i “nokeys” nel Bel Paese addormentato nel bosco


L’attacco è di quelli che prendono alle viscere più che ai timpani: un basso fluido tra stoccate secche e precise. Note di chitarra scheggiate nervosamente. Synth cupo come una giornata glaciale, tappeto ideale per la voce di Rico, un’ascia nel ghiaccio.
Parte così Eyes of riot, singolo che lancia il primo lavoro sulla lunga distanza dei nokeys, band parmense che in realtà con l’Italia ha ben poco a che fare.
L’album in questione si chiama “The Regency” e ci è sembrato molto di più della solita accozzaglia di pezzi più o meno buoni messi insieme per lanciare quattro o cinque ragazzotti di provincia nelle classifiche musicali; o, come più spesso accade nel panorama nostrano, nel finto-alternativo bosco dell’underground.
Decidiamo quindi di approfondire la questione intervistando proprio i nokeys, mentre in sottofondo scorre questo disco che abbiamo già parecchio ruminato, ma che proprio non riesce ad annoiarci.


L’inizio è fulminanteRock’n’roll pistolero sembra riportare in vita i primi Litfiba attraverso una cura a base di acido; nella già citata Eyes of riot aleggia il fantasma del guru dell’apocalisse Jaz Coleman e dei suoi Killing Joke; mentre con Dolore dolcissimo si torna in Italia a braccetto (o facendo a cazzotti) con i Baustelle, ma a differenza della formazione toscana qui vengono aggiunte sapientemente qualche piccola schitarrata degli U2 primordiali e un’aura gotica alla Bauhaus. Wow!
Nel frattempo chiacchieriamo e Rico mette subito in chiaro che “la reggenza” a cui ci si riferisce nel titolo del lavoro riguarda un doloroso periodo di transizione : Noi stavamo attraversando periodi difficili, come individui e come band, e il disco rispecchia senz’altro questa condizione. Non ha mai voluto essere però un disco ripiegato su se stesso, di lamento… di reazione semmai, di lotta! Scuro, ma mai disperato. E in effetti è questa l’impressione che abbiamo avuto dall’ascolto: un album guidato da un comune filo conduttore, da significati più profondi.

Insistiamo quindi, chiedendo loro di parlarci più precisamente della gestazione del disco, cercando quell’empatia col gruppo che potrà confermare o smentire le nostre ipotesi: i nokeys amano davvero quello che fanno o sono un bluff?
Luv, il chitarrista della band, intuisce la nostra provocazione e decide di parlare chiaro, cosciente del valore di ciò che sta per dire: The Regency ha visto la luce nel Gennaio 2009, ma abbiamo capito che qualcosa era davvero cambiato soltanto nel maggio 2008, quando su un palco ad Atene abbiamo deciso di presentare live brani totalmente inediti, con strumentazione elettronica analogica mai utilizzata prima, cancellando il vecchio ricordo che il pubblico aveva dei nokeys. Quella volta è stato come prendere a martellate un muro, e vederlo crollare… Dietro le macerie i volti di un pubblico nuovo, sorpreso, impietrito ma attento. Da allora ci siamo dipinti la faccia con righe nere, non eravamo più conformi al passato, il Regno era crollato, era iniziato un periodo di transizione. Una nuova Reggenza.

È difficile trovarsi di fronte un gruppo con le idee così chiare e dalle ambizioni così precise. Probabilmente è la cultura da perdenti dell’underground nostrano degli anni ’90, con cui siamo cresciuti, a farci sentire spiazzati in queste situazioni. E allora proviamo a spazzare via anche questo maledetto regno continuando ad ascoltare:Pretty girl è un trip seducente; mentre la pillola Another step cita con raffinatezza gli ultimi Depeche Mode, introducendoci ad una seconda parte dell’album meno aggressiva ma forse più suggestiva.

La cura del suono è ciò che più colpisce in questo lavoro, i nokeys sembrano suonare insieme da anni e un loro pezzo sembra già avere una decisa riconoscibilità. Vengo a sapere che si sono affidati ad un produttore svedese. E questo non è l’unico legame che hanno con la Svezia: lì al nord la loro attività live è molto intensa…ma ormai non ci lasciamo più sorprendere, semmai aspettiamo chi ci spieghi quest’altra novità! Bonzo (anche lui suona la batteria, ma è solo un omonimo del redattore della nostra sezione di “Storia”!) si assume l’incombenza: La scelta di lavorare col produttore Stefan Boman è maturata in maniera un po’ particolare. Era l’inizio del 2008 e i nokeys, dopo tre anni di attività e altrettante registrazioni, non erano soddisfatti: non eravamo d’accordo su niente, fino a che non abbiamo ascoltato un cd dei Kent, band svedese prodotta da Stefan. Da lì a metterci in contatto con lui il passo è stato breve. E lavorare insieme, mettendo a confronto le proprie idee, ci ha aiutato tantissimo.

Rico ci parla poi delle conseguenze di questa scelta: il mixaggio del disco in Svezia, la scelta di girare il video di Eyes of riot proprio a Stoccolma, l’esperienza di suonare fuori dai nostri confini messa a confronto con le abitudini nostrane: Il pubblico Scandinavo è più curioso: se c’è un concerto, anche se costa 5 euro e sei uno sconosciuto una chance ti viene comunque data. Si va ai concerti per il piacere di andare ai concerti, non solo ed esclusivamente se si conosce la band. E in questo modo c’è più giro, il livello delle band è davvero alto, mediamente più che qui.

A questo punto ci verrebbe voglia di fare un biglietto per Stoccolma… Ma prima continuiamo a condividere con voi l’ascolto: Slow è l’apice malinconico dell’opera, con una parte vocale da brividi. Musicalmente richiama le belle intuizioni dei Cure e ricorda da lontano la struttura di Evidence, uno dei brani più pacati e intensi di Marilyn Manson. Poi si continua seguendo sempre le coordinate di una new wave molto più attuale. Ciò che percepiamo è un suono riconoscibile ma anche originale: le scelte fatte nel disco non sono mai scontate, frutto di un lavoro che ci sembra professionale, quasi maniacale. A prova di questo c’è anche l’ottimo inglese usato nelle canzoni, che non tradisce inflessioni “provinciali”. Parlando con loro ci accorgiamo che i nokeys sono riusciti al primo colpo in un particolare incantesimo: dare un’impressione di maturità celando la complessità del lavoro che c’è stato dietro.

Siamo quasi alla fine. E ora, cari nokeys, state già lavorando a qualcos’altro? Quali sono le vostre ambizioni? Vi posso dire quanto vedo fin qui – ci spiega Rico – ovvero che la Scandinavia sembra amarci in modo naturale e diretto. Ora stiamo lavorando in maniera massiva su nuove produzioni, la nostra operatività è costante e quasi compulsiva. Siamo intenzionati a fare le cose sul serio, ma sul serio veramente, da molti anni a questa parte ormai. Questa è la regola… O tutto o niente. Per adagiarsi c’è sempre tempo. Ma noi non siamo persone quiete, non lo siamo mai state.
Arriviamo così al termine della notte attraverso la luce del mattino che brilla un po’ oscura in Morning, l’ultima delle dieci tracce, con strofe che ricalcano le atmosfere cupe di Nothing’s Impossible dei Depeche Mode. Gatto, bassista finora silenzioso, sussurra: mi fa salire le lacrime agli occhi. Tutte le volte.
Ci congediamo così dai nokeys, dandoci appuntamento a presto per un loro prossimo live.

Noi crediamo che prodotti come questi dovrebbero essere presenti in ogni classifica. Ma si vede che i nostri compatri(di)oti, che si cimentano nell’ascolto di suoni e voci provenienti dai cosiddetti talent show, dalle radio che leccano il culo a chi le paga, dalle piste da ballo del sabato sera dove spesso vengono consumate ostie “lisergiche”(il corpo di Disco) non si accorgono di ciò che di più puro nasce dal sottosuolo.
Forse è come diceva Nietzsche: “Una cosa buona non ci piace, se non ne siamo all’altezza”.
A noi che scriviamo, però, i nokeys sono piaciuti molto. E crediamo di rivolgerci a persone con la giusta altezza.


Pubblicato il 17/03/2010 su Axxonn.it, affiancato dalla firma di Cristian Suardi

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