martedì 23 agosto 2011

Viaggiare con Antonio Tabucchi


Quello che è certo è che Antonio Tabucchi ha sempre viaggiato molto. Non importa se quei posti di cui ci ha scritto nella sua lunga carriera li abbia visti realmente o li abbia solo immaginati: chi ha letto le sue pagine li ha vissuti davvero, si è fatto trasportare in altri luoghi. E proprio infondere vita sembra uno degli scopi più nobili di chi fa lo scrittore: tramite storie di vite spesso “altre”, che distraggono e fanno sognare, chi legge rinnova di emozioni e desideri la propria vita reale. O almeno si spera che sia così.

D’altronde il poeta – lo scrittore, in generale – è un fingitore, un’illusionista. E Antonio Tabucchi conosce bene questa che è la lezione di uno dei suoi numi tutelari, Fernando Pessoa. Ed ecco allora che arriva in libreria “Viaggi e altri viaggi”, un titolo bello ed emblematico nella sua semplicità, in cui Tabucchi ci porta in giro per il mondo.
Anche questo, come molti altri suoi libri, è un libro di racconti. Tabucchi è un maestro indiscusso delle short stories, genere che soprattutto in Italia vive di alterne fortune, ma in cui lo scrittore toscano spesso trova la dimensione ideale per consegnare al lettore dei piccoli e intensi gioielli letterari.
I racconti, poi, sono forse più congeniali a trattare e approfondire le storie “altrui”, ognuna nel suo contesto. Anche nell’interesse verso le vite degli altri si sentono gli echi provenienti dal poeta portoghese, già “inseguito” anni fa tra le pagine di “Requiem” e certo non assente in quest’ultimo viaggio a Lisbona, dove il protagonista si ritrova in una stradina con il nome di un sentimento difficilmente traducibile: rua de Saudade.
Altri viaggi in luoghi topici per Tabucchi sono in Grecia, a Creta (l’isola ci riporta a “Controtempo”, uno delle sue storie più recenti e allucinate) e soprattutto in India, dove questa volta troviamo Tabucchi seduto sullo zoccolo della statua dell’abate Faria a Goa, e in cui è impossibile non sentire i richiami dall’esordio di “Notturno indiano” e da “I treni che vanno a Madras”, uno dei suoi migliori racconti contenuti in “Piccoli equivoci senza importanza”.
E poi altri viaggi, così come suggerisce il titolo, in queste nuove pagine: Brasile, Kyoto, Parigi, Australia, Cappadocia. Tra quelli reali, quelli per interposta persona e quelli solo immaginati, lo scrittore ci dice che in realtà viaggiare per poi scriverne è una cosa stolta: “Sarebbe come se uno volesse innamorarsi per poter scrivere un libro sull’amore”. Il viaggio è oltre il riposo, lo “staccare la spina”, l’abbronzatura o chissà quale altra assurdità dal sapore pubblicitario: “Viaggiare – diceva Michel de Montaigne – è sfregare il proprio cervello con quello degli altri. E se non è così, è niente, solo tempo sprecato”.
Lo stesso Tabucchi ci ricorda nella prefazione che il mondo non è il “villaggio globale” continuamente descritto dai media: la sua meraviglia sta nell’essere grande e diverso, impossibile da conoscere tutto. E così, quando proprio non si può viaggiare, intervengono la “finzione letteraria” dello scrittore (ma poi quanto finta è, se a noi certe storie ci sembrano vere?) e l’immaginazione del lettore: ci si imbarca allora in racconti sempre nuovi e verso luoghi mai visti o pensati prima.
Buon viaggio.
- Antonio Tabucchi, Viaggi e altri viaggi, Feltrinelli, € 17.50, pp. 266

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