venerdì 26 agosto 2011

Rock. Senza giri di parole


Quarto appuntamento con le migliori band emergenti italiane: ecco i Pull No Punches.
“If you pullnopunches you hold nothing back“. Come a dire: parla in maniera diretta, senza nascondere nulla, baby! Più chiari di così: questi quattro ragazzi non le mandano certo a dire e chiedono una risposta a tono. Il loro nome, accompagnato da uno slogan che in realtà è un’espressione idiomatica inglese, è il loro manifesto. Mentre il loro biglietto da visita si chiama “Shooting stars and Marshmellows”. Vediamo con che tono si sono proposti.

“Shooting stars and Marshmellows” è il primo album di studio dei Pull no Punches (PNP), prodotto da SFEM e The Lads Production. Il lavoro di composizione è tutto loro, mentre per il mixaggio è stato chiamato in causa Dave Collins a Los Angeles. Con questi ingredienti, a fine 2010 ne è uscito fuori un lavoro dal respiro internazionale, anche perché tutti i testi sono scritti in inglese – conseguenza naturale quando chi scrive i testi (si chiama Camillo Brena) ha vissuto per 9 anni tra Irlanda e Inghilterra.
Il disco si presenta energico già dal primo ascolto e non perde colpi alla lunga distanza. La voce sembra pescata da un ideale team che vede tra le sue fila Chris Cornell, Eddie Vedder e Mark Lanegan, tra gli altri. Un impostazione roca e piuttosto autoriale in una selva musicale che potremmo semplicemente definire rock, nel senso più semplice e immediato del termine. I PNP, attorno al vigoroso canovaccio portante del disco, hanno intuito da subito il segreto fondamentale per non annoiare (e magari avere successo in futuro, dico io!): ovvero, sanno variare ritmi e stili e non proporre sempre la solita struttura – attitudine, questa, che si può riconoscere in un “primo album” solo a pochi gruppi.
C’è così la veloce 2:43 che si consuma nel tempo del titolo, chitarre dalla vaga venatura blues in Breaker (occhio al ritornello in puro stile Soundgarden) e in Soul to squeeze, e pezzi dal piglio cantautoriale, sorretti da arpeggi di chitarre acustiche (Sometimes e Yesterday & Tomorrow).
Merita una menzione particolare Myself, che spicca particolarmente per il suo ritornello carico di pathos chitarristico (ricorda l’immediatezza dei primi lavori dei Linkin Park). Ma non solo: il pezzo, unico tra i 10 dell’album, è prodotto da Stefan Boman, un produttore svedese col fiuto per i giovani talenti. Mi racconta Camillo che “contattarlo è stato molto semplice, io conosco Stefan tramite i Nokeys (altro gruppo di cui vi parlerò!). Cosi’ gli ho chiesto di ascoltare il nostro disco non ancora sigillato e scegliere una canzone che per il suo gusto avrebbe potuto essere il singolo. Stefan mi ha proposto di remixare Myself: è stato un dono inaspettato!”.
Una cosa che incuriosisce molto in questo lavoro è la copertina e le immagini del libretto dell’album: c’è un clown su sfondo giallo e ci sono i ragazzi della band vestiti da personaggi da circo, in un contesto di arida campagna. Chiedo a Camillo il perché di questa scelta: “Il clown e’ un personaggio romantico e ci vuole ancora del romanticismo nella vita. Quando ho pensato alla copertina del disco volevo trovare un simbolo forte ma allo stesso tempo comune. Cosi’ nella mia fantasia il clown rappresenta ancora quell’arte vera fatta di sacrifici e vita vissuta. Mentre la location con un crocevia è stata scelta un po’ per il ricordo del blues, un po’ perche’ sa di vita reale”.
I PNP sono in giro per l’Italia a presentare i loro show elettrici e acustici. Questa loro capacità di variare, essendo al tempo stesso sicuri di cosa voler suonare, è segno di un’onestà che raramente ho potuto riscontrare in band emergenti. Anzi, solitamente sono segni distintivi di chi ha una lunga carriera alle spalle. Non perdeteli di vista.

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