lunedì 8 agosto 2011

Opinioni demoscopiche: Televisione Amore Mio - Sanremo, bestemmie e la Repubblica del televoto


Nessuno meglio del presidente della FIGC, Giancarlo Abete, poteva dare il via al gioco pre-Festival che quest’anno si intitolava “Buoni e cattivi esempi per i telespettatori italiani”.
Un gioco estremamente istruttivo al quale non ha fatto mancare il suo contributo neanche il nostro Presidente del Consiglio, che, in visita a Tirana, ci ha edotti su come siano individui deprecabili gli scafisti, eccezion fatta per quelli che traghettano belle ragazze albanesi. A nostro avviso, la sua seconda miglior freddura di sempre, dietro solo
all’inarrivabile proposta “per il ruolo di Kapò” con la quale raggelò l’europarlamentare Schulz un paio d’anni fa (vedi QUI la storica sequenza).

In sintesi le conclusioni sono state: sono un pessimo esempio coloro che bestemmiano, siano essi calciatori o “divoratori” di animali domestici; mentre sono un buon esempio la grammatica sfoggiata da Antonio Cassano proprio sul palco dell’Ariston e quella di Valerio Scanu intervistato da Gianmaurizio Foderaro a Radio 1. Roba che neanche Don Lurio.
Sarebbe stato, inoltre, certamente un pessimo esempio mandare a Sanremo Morgan, alla luce delle dichiarazioni infelici rilasciate a Max; ma non lo è Emanuele Filiberto, che di droga ha parlato anche lui, qualche mese fa a Domenica Cinque, ma vanta di aver vinto “Ballando con le stelle”.

Sarà che la televisione – che da anni vede “Mamma RAI” piegarsi tanto facilmente a logiche commerciali, tanto da non riuscire a distinguerla dai “frizzi e lazzi” vacui delle reti Mediaset – conta sulla poca memoria e sulla mediocrità culturale dello spettatore tipo, contando di assecondare la sua voglia di distrazione e talvolta moralizzandolo, con gli esiti tragici fin qui descritti, con gli eventi di punta dell’anno mediatico, tra i quali la fa da padrone Sanremo. Padrone indiscusso, oseremmo dire, dato che Mediaset praticamente non fa contro-programmazione: che ci sia un nesso tra la “concessione” del monopolio dei dati Auditel nella settimana sanremese a favore della RAI e la vittoria del Festival, sia l’anno scorso che quest’anno, da parte di due “giovani talenti” lanciati da Amici, la trasmissione di Maria de Filippi che da anni “vanta innumerevoli tentativi di imitazione”?
Facciamo a non malignare (come vecchie ciane) e cerchiamo di parlare del Festival, che noi, spettatori evidentemente “poco tipo”, abbiamo visto anche per voi.

Premettendo che la dicitura “Festival della Canzone Italiana” o appellativi come “gara canora” sono completamente obsoleti, per quello che è un appuntamento fisso con lo spettacolo, il varietà e l’intrattenimento leggero, non ci scandalizza trovare una bassa qualità delle canzoni presentate: il palco dell’Ariston è ormai poco più che un’utile vetrina, una cassa dalla risonanza molto estesa, buona per il lancio commerciale dei dischi.
I nostri “buoni” – permetteteci di partecipare al gioco presentato in apertura – sono quelli che hanno presentato un prodotto valido e onesto, frutto di un lavoro appassionato per una canzone che vuole trasmettere messaggi o emozioni, indipendentemente dall’intrinseca logica di mercato: Malika Ayane ha classe ed eleganza, arriverà lontano; Irene Grandi convince con un testo cucitole addosso dal maudit Francesco Bianconi.
Quel pochissimo che c’era di serio, invece di spiccare tra tanta mediocrità, è stato oscurato da quell’”Inferno per timpani” che è stato il podio finale della gara, mai come quest’anno dimostratosi inversamente proporzionale alla qualità delle canzoni.
Marco Mengoni, terzo nella gara, è il meno peggio. L’iper-melodica canzone vincitrice, “Per tutte le volte che” di Valerio Scanu – al quale non vogliamo dedicare un’immotivata, per quanto negativa, pubblicità – è liquidabile con un commento di fantozziana memoria, che è quanto di più nazionalpopolare e liberatorio ci venga in mente: è una cagata pazzesca!

Clamoroso è il secondo posto conquistato dal trio composto da Pupo, il “Principe” Emanuele Filiberto e il tenore Luca Canonici. Dopo essere stati eliminati virtualmente dalla giuria demoscopica già nella prima serata, i tre sono tornati in corsa grazie al televoto e al CT della Nazionale Marcello Lippi; il viareggino, ospite speciale, ha sedotto la platea parlando del mondiale di calcio vinto dagli azzurri nel 2006 e ricordando il CT della nazionale di ciclismo Franco Ballerini, da poco scomparso.  E sull’applauso doveroso a Monsieur Roubaix, lo spettatore si confonde e finisce col bypassare l’ennesima figura, ridicolmente penosa, di quelli sul palco.
Risultato: tutti coloro che hanno mantenuto una briciola di dignità si indignano, il Trio quasi vince, si scatenano le ire dell’orchestra che, esasperata, protesta lanciando per aria gli spartiti. Ecco la tanto agognata meritocrazia (ci viene da aggiungere con malcelato sarcasmo).
Tutto ciò ci porta a rimpiangere Mino Reitano (e mai pensavamo che questo potesse succedere), se non altro per l’onestà con cui cantava la sua “Italia”; e fa felici soprattutto quelle compagnie che vendono pacchetti di voti per influenzare tali votazioni telefoniche.

Non ci è difficile immaginare che, di fronte a tali risultati, c’è chi pensi già ad una “Repubblica del televoto”. Il primo a provarci fu proprio l’Emanuele Filiberto con la febbre del sabato sera: il “principe del ballo”, però, fallì l’obiettivo di tramutare i televoti in voti elettorali alle elezioni europee, in lista con l’UDC.
Per tutto questo, ai “signori dell’inquisizione”, rappresentanti esemplari di tali tele-immondizie e contemporaneamente alfieri di bigottismo e perbenismo, vogliamo mandare una maledizione: sperando che mai i loro figli bestemmino e si droghino, e che continuino a mangiare mucche da McDonald’s, auguriamo loro di trovare i pargoli un bel giorno, nelle loro camerette, che, mentre saltano sul letto e stringono una matita a mo’ di microfono, cantano a squarciagola “Italia amore mio”.

(pubblicato su Axxonn.it il 4 marzo 2010, con la firma associata di Antonio di Fazio)

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