lunedì 8 agosto 2011

Il Cavaliere meglio di Orson Welles


È l’8 gennaio del 1994, primo pomeriggio, e nella redazione milanese de “Il Giornale” si svolge la classica riunione pomeridiana. Il direttore, Indro Montanelli, non è al momento presente.
Ad un certo punto irrompe nella sala Silvio Berlusconi, sulla carta solo il fratello del proprietario del quotidiano, ma in realtà il vero editore: praticamente quello che mette la grana per mandare avanti la baracca. Contro ogni regola redazionale entra per dettare la nuova linea editoriale del giornale: “bisogna adottare la politica della mia politica”, è questo il concetto che vuole far passare.
Due ore dopo
Montanelli, un giornalista capace come pochi di indignazione morale e civile, ha già rassegnato le sue dimissioni.

Contestualizzando, diciamo che in quel periodo il Cavaliere impegnò spudoratamente nella violenta battaglia della campagna elettorale le armi più spietate: i suoi massmedia. Grazie soprattutto ad esse riuscì a concludere vittoriosamente la sua “discesa in campo” e a diventare capo del Governo.
Eppure era difficile prevedere che quel brillante imprenditore edile – quello di Milano 2 – sarebbe arrivato a diventare Presidente del Consiglio. La sua ammirevole lungimiranza sta nell’aver intuito prima di tutti, nel nostro Paese, il potere che poteva derivare dal mondo della comunicazione: arrivare a possedere il dominio dell’informazione, cavalcare le innovazioni tecnologiche per assuefare il pubblico, sdoganare mode e stili di vita attraverso le pubblicità. In sintesi: controllare le opinioni degli italiani.
Certo, non ci sarebbe riuscito senza l’aiuto della politica, soprattutto quello del suo amico Bettino Craxi. Ad ogni modo Berlusconi si ritrova oggi, al governo, a controllare di fatto le reti Mediaset e Rai (quest’ultime guidate indirettamente sulla base di nomine governative); oltre a giornali, riviste, gruppi editoriali e alcune reti televisive estere.
Il suo successo politico, quindi, mi pare senz’altro costruito essenzialmente sui media; ovvero, la sua entrata in politica è stata solo l’ultimo atto di un piano partito molti anni prima, e in cui i mezzi di comunicazione giocano da sempre un ruolo fondamentale.
Ma a chi si è ispirato in questo grande piano? Una figura contemporanea a cui ha sicuramente guardato con ammirazione è colui che ora è diventato il suo più acerrimo nemico: Rupert Murdoch.

Murdoch, australiano di nascita, convinto conservatore, cominciò la sua ascesa editoriale nel 1969 con l’acquisto del tabloid inglese “The Sun”. Puntò subito su una versione assolutamente spregiudicata del giornalismo popular: “shock, orrore, tette e sederi”, questo era il suo motto. E il successo fu fulminante.
Oggi questo Imperatore dei media possiede 175 giornali (confluiti in blocco nel gruppo “News Corporation”) e Sky, una Tv diffusa ormai in tutto il mondo (in USA prende il nome di Fox) che può contare su un’utenza attuale di circa 130 milioni di abbonati. Il giornalismo presentato dai suoi canali, in genere di tipo sensazionalistico e commerciale, si riduce a un prodotto meramente fabbricato sulla base degli interessi dell’editore: ciò che conta è apparire un vincente, appoggiando i “cavalli di razza” della politica, come è già successo con Margareth Thatcher, Tony Blair e il Bush della guerra in Iraq. E i discreti margini di libertà per chi quel lavoro lo porta avanti davvero sono in realtà poco significativi.
Non vi viene in mente nessun parallelo con giornali e trasmissioni nostrane? Ok, il clamoroso TG4 è facile; ma andiamo oltre: la cronaca strillata e le tette al vento di Studio Aperto? E che dire della capacità del TG1 di Minzolini di sostituire valide inchieste con rubriche inutili, mancando ogni giorno di fotografare con la dovuta responsabilità il paese reale?

Ora concentriamoci bene sull’informazione in Italia, soprattutto quella televisiva, perché è questa la maggiore fonte di conoscenza del mondo per gli italiani. Se vogliamo tenerci un minimo aggiornati ci tocca guardare almeno un telegiornale: quelli della Rai, come detto, seguono in linea di massima logiche filogovernative (il capo del governo è Silvio Berlusconi); quelli di Mediaset (network di reti nazionali private) rispondono a chi mette i fondi per farli andare in onda (l’editore è sempre Berlusconi); quelli di Sky abbiamo detto che dipendono da Murdoch. Per il resto – vedi ad esempio La7 – rimangono insipide briciole.
Per avere un’idea più precisa di come questo flusso di informazioni sia imponente, basti pensare che solo TG1 e TG5 fanno in media, ognuno, intorno ai 7 milioni di spettatori nella sola edizione serale. Quindi, lascio a voi trarre le conclusioni.

Abbiamo già ragionato, in questa stessa rubrica, riguardo all’anomalia italiana e alla gravità del conflitto d’interessi. L’argomento qui è ulteriormente approfondito e semplificato, però, in funzione di una considerazione un po’ più ampia.
Quelle di Berlusconi e Murdoch sono le storie di uomini che hanno capito che possedere i mezzi per comunicare con un’enorme massa di persone, avrebbe significato controllare e condizionare il pensiero di tali persone. Come gli Imperatori nel passato, anche i nostri due Imperatori mediatici fondano il loro potere sugli umori che suscitano nel proprio pubblico.
Mi viene in mente il simulacro del magnate della comunicazione perfettamente fotografato da Orson Welles, quel Charles Foster Kane che incarnava, nella sua smania di fare proseliti con i suoi giornali, le ossessioni del Quarto potere. In una scena del film (formidabile e attualissimo, anche se del 1941), Kane è a colazione con la sua prima moglie, la quale non ha tempo nemmeno di terminare una sua opinione sui lettori: il marito la fredderà con la frase: “La gente penserà… solamente quello che voglio io!”.

Ma nel caso del Cavaliere, come d’altronde sempre più spesso, la realtà ha superato la pur fervida e fantastica lungimiranza di Orson Welles: nel film Kane prova una folgorante discesa in politica, ma nell’ultimo giorno di campagna elettorale viene travolto da uno scandalo sessuale ed è costretto a rinunciare alle ambizioni di vittoria.
Silvio Berlusconi, invece, è attualmente Presidente del Consiglio, nonostante la sua vita privata sia abbastanza nota.
La sua onestà risiede nel ricordarci ogni giorno questo paradosso.
Il nostro limite sta nel pensarci continuamente, proprio come vuole lui.


Nota a margine: lo scorso 3 Maggio, quando quest’articolo era appena stato terminato, è arrivata dalle agenzie la notizia della diffusione del rapporto di Freedom House, una organizzazione non governativa che si occupa di monitorare il livello della libertà di stampa e di opinione nei paesi di tutto il mondo. In base alla classifica riportata, l’Italia risulta un paese in cui la stampa è parzialmente libera e per questo si piazza al 72° posto nel mondo, a pari di Paesi come Congo, Sudafrica, Nepal.
Il commento di Silvio Berlusconi non si è fatto attendere: “In Italia c’è fin troppa libertà di stampa”.

(pubblicato su Axxonn.it il 5 maggio 2010)

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