giovedì 25 agosto 2011

Mario Monicelli, uomo libero - Un ricordo del grande regista morto suicida a 95 anni.


Mario Monicelli è al quinto piano dell’ospedale romano “San Giovanni”. Rimasto solo nella stanza, probabilmente con uno di quei pigiami tristi che ti danno quando sei ricoverato, si avvicina alla finestra. La apre, ci si arrampica e ora è in piedi: dietro le sue spalle la camera d’ospedale. Davanti il vuoto, o la fine, o il futuro. Non importa, scegliete come preferite.

Da giorni penso a quell’istante. Ma non per cercare di ricordare l’ultimo momento del regista in vita, lo ricorderò certo per i suoi film. La mia curiosità verso quegli attimi che sono passati prima che si buttasse giù – forse parliamo di pochi secondi – è tutta rivolta al suo ultimo pensiero: dato che non ha lasciato alcun biglietto, qual è l’ultima cosa che ha pensato quest’uomo geniale, che in ultimo si concede la più grande delle libertà?
Mario Monicelli è a ragione considerato uno dei padri della commedia all’italiana, un regista che è riuscito a raccontare davvero l’Italia senza falsi sentimentalismi, facendoci ridere senza mai rinunciare alla sua vena caustica e amara. È stato regista di oltre 60 film e autore di più di 80 sceneggiature. È quasi impossibile conoscere tutti i suoi lavori, dall’esordio con I ragazzi della via Paal (1934) alla sua ultima opera, il corto della sua carriera Vicino al Colosseo…c’è Monti, in programma fuori concorso alla 65esima Mostra del Cinema di Venezia lo scorso Settembre. Si può dire, senza il rischio di essere banali, che la sua sia stata una vita interamente dedicata al cinema.
Fra i suoi grandi successi possiamo sicuramente ricordare Guardie e ladri (due premi a Cannes nel ’51), I soliti ignoti (nomination all’Oscar), La Grande guerra (1959) trionfatore a Venezia con il Leone d’oro, L’armata Brancaleone (1965). Protagonisti di questi film gli attori che hanno fatto la fortuna del cinema italiano, anche all’estero: Totò, Alberto Sordi, Vittorio Gassman. In loro che erano maschere da commedia, ma che ben riuscivano ad incarnare in gesti e smorfie le contraddizioni di un popolo provinciale alle prese con le grandi prove del Novecento (urbanizzazione, guerre, sviluppo economico), mi pare si possa ritrovare l’emblema di chi vive il mondo con la dovuta passionalità, in un misto di leggerezza e sofferenza, sempre stemperate dall’ironia. Così erano gli attori di Monicelli, così erano i suoi film.
Il mio personale ricordo di Monicelli è legato soprattutto ad Amici Miei (1975): tuttora non riesco a capire se questo sia un film divertente o tragico. La sua forza perturbante sta appunto nella sua capacità di sdrammatizzare anche i momenti più dolorosi di una vita, come nella scena del funerale del Perozzi: durante la processione al seguito del loro più caro amico scomparso (interpretato magistralmente da Philippe Noiret), i suoi cari compagni (ovvero Ugo Tognazzi, Duilio del Prete, Gastone Moschin, Adolfo Celi) non riescono a non seguitare in uno scherzo che avevano cominciato quando il Perozzi era ancora in vita, forse perché pensavano che a lui avrebbe fatto più piacere così.
Ecco perché a me fa piacere ricordare Monicelli soprattutto per questa pellicola, dove esprime con un punto di vista personalissimo la sua cognizione del dolore.
Mario Monicelli credo che sia stato un uomo libero perché si sentiva libero di scegliere, di esprimersi come meglio credeva. È stato vitale fino ai suoi ultimi giorni. Basti pensare che aveva preso parte al Viola Day dello scorso febbraio e al primo no B-day nel dicembre 2009 a Piazza San Giovanni. E aveva incitato i giovani a tenere duro: «Viva voi, viva la vostra forza, viva la classe operaia, viva il lavoro. Dobbiamo costruire una Repubblica in cui ci sia giustizia, uguaglianza e diritto al lavoro, che sono cose diverse dalla libertà». Era stato anche a Montecitorio con i colleghi nel Luglio 2009 per protestare contro i tagli al Fus. L’Italia era per lui «una penisola alla deriva».
Pensate: un vecchietto ultranovantenne che parla di “costruire una Repubblica”. Monicelli è stato un uomo libero perché era libero di schierarsi, libero dalla sua età anagrafica, libero di sentirsi vitale fino al suo ultimo gesto. In cui è stato libero di scegliere di finire così. E libero di mantenere segreto il suo ultimo pensiero.
Spero che qualcuno abbia trovato la forza di ridere, almeno un attimo, al suo funerale.

Pubblicato il 06/12/2010 su Ghigliottina.it

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