giovedì 25 agosto 2011

Marlene Kuntz: la nuova rabbia


Dicevano:  “Marlene non è più la stessa, ha perso la sua carica rock primordiale”. Il soggetto che negli ultimi anni ha espresso questo concetto, brutalmente sintetico, è per forza di cose anonimo ma collettivo. È la voce dei forum, di chi fa la voce grossa e sentenzia nascosto da un nickname, di chi si sfoga nel proprio “Ricovero virtuale”.

Beh, qualcuno dovrà ricredersi ascoltando il nuovo album uscito lo scorso 23 Novembre. I Marlene Kuntz non la mandano a dire e, memori della lezione che loro stessi auspicavano tempo fa (ricordate Aurora?), si scoprono “più attraenti delle metafore”. Il disco parte appunto con Ricovero Virtuale. Su una base di chitarre taglienti e ritmi incalzanti Cristiano Godano comincia così: “Deficiente di un perdente / testa fine, figa niente / poco real, molto forum / voce grossa e zero quorum!”. Eh sì, qualcosa è cambiato. Però Marlene non vuole dimostrare niente a chi insulta perché legato a un passato da ascoltatore in cui non è riuscito ad evolversi. Se la prende piuttosto con chi la musica la consuma soltanto, scarica gratis e sentenzia, non rendendo il giusto onore a chi nella propria arte ci mette tempo e passione.
Marlene rifugge a suo modo il diktat consumistico “Produci – Consuma – Crepa” che Giovanni Lindo Ferretti cercava di esorcizzare negli anni ’90 con i suoi CSI. E, a dirla tutta, si allontana proprio da quel suono così simile alla band di Ferretti, e che negli ultimi anni (soprattutto con “Bianco Sporco” e “Uno”) aveva fatto storcere il naso a qualche fan. La differenza fondamentale di questo disco rispetto ai precedenti sta nella produzione artistica, affidata non più Gianni Maroccolo ma a Howie B, una sorta di guru nel mondo della produzione di musica elettronica. E questo, a mio avviso, è un gran salto di qualità.
Ricoveri Virtuali suona più fresco e sbarazzino, con un uso dell’elettronica consapevole e non invadente, e pure riesce a far risaltare l’onnipresente mood ipersensibile di Godano e soci. Arriva così piacevole all’orecchio un singolo abbastanza immediato come Paolo Anima Salva, che parla della difficoltà di entrare in empatia con “anime simili” in un mondo arreso alla superficialità. Le solitudini a cui si accenna nel titolo dell’album sono esplicitamente sexy in Orizzonti (“Ho voglia di infiammare la tua erotica e nitida curiosità / ho un conto aperto con il mio concupiscente Mr. Hyde”), mentre possono essere dolorose ma consapevoli e mature come in L’idiotaIo e me (parabola di come sia illusoria la forza derivante da una solitudine) eVivo (un lacerante grido d’aiuto che si perde nel vuoto: “sto gridando da un pezzo e no, non mi sentite!”). Questi ultimi due pezzi, con una struttura molto rock dal crescente pathos emotivo, sono sicuramente da segnalare tra le vette di un album che ha pochi cedimenti.
Godano si arrischia per la prima volta in qualche falsetto: è un gioco che riesce davvero bene solo in Pornorima (altra invettiva contro i ricoveri virtuali), dove la voce effettata e biascicata e un andamento vagamente blues (altra novità per i MK) compongono un pezzo dall’aria internazionale e che non sfigurerebbe in un album, ad esempio, di un gruppo come i Veils.
L’età avanza e questo disco segna la definitiva presa di coscienza della propria forza per la band cuneese. La formazione base (Godano, Bergia e Tesio) si è arricchita di altri due elementi che hanno lavorato alla composizione delle canzoni. Il risultato è un suono più pieno e ricco, godibile e non lagnoso. Howie B ci ha messo del suo, con una produzione che ha messo in risalto il forte impatto sonoro del gruppo, modernizzandolo e rendendolo nuovamente attraente.
Cristiano Godano ragiona in senso evoluzionistico, cosciente di aver dato alla Marlene una propria personalità. Riesce ad osare molto di più anche nel canto e, a parte un paio di episodi dove le linee melodiche risultano un po’ mielose, i risultati sono ottimi. Come a dire a Nick Cave e Blixa Bargeld, sicuramente due dei suoi eroi musicali: “Grazie ragazzi, ora faccio da me”. Ne L’artista sembra risuonare proprio una storia del genere.
I Marlene Kuntz prima parlavano con un urgenza e un’immediatezza che potremmo definire semplicemente rock. Oggi scrivono belle canzoni con grandi testi, ascoltabili non più al chiuso della propria stanza, ma anche alla radio o in una casa dalle porte aperte. Provate a sentire Scatti, la canzone che chiude il disco, per credere: potrebbe essere un perfetto singolo radiofonico di una malinconia e una delicatezza sublime.

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