venerdì 26 agosto 2011

L'anima nera di Adele


Gospel e arrangiamenti da “black music” fanno di “21” uno degli album più sorprendenti dell’anno.
Che Adele avesse un talento vero era palese già da “Chasing Pavement”, primo singolo estratto da “19”, il suo primo disco datato 2009. Il pezzo aveva una struttura pop semplice ma efficace, e la voce della diciannovenne inglese già faceva capire di poter far vibrare le anime. Ma molti annoverarono la ragazzina tra i cloni della scapestrata Amy Winehouse, che qualche mese prima aveva invaso le classifiche con un pur ottimo album lanciato dal tormentone “Rehab”. La voce di Adele si confuse un po’ nel mare magnum delle hit da classifica, in un contesto di ritorno alle sonorità black anni’60 e ’70, col rilancio di primedonne più o meno meritevoli di fare dischi.

Ma chi l’ha dura la vince. La Winehouse, ad esempio, cerca ormai da troppo tempo di fare i conti con se stessa e di mettere fine alla sua vita alcolica e balorda: la sua “Rehab” suona oggi come una specie di profezia. Nell’attesa, Adele ha lavorato sodo e con “21” ha raggiunto due obiettivi che segneranno sicuramente la sua carriera: ha sfornato un disco bello e convincente (solitamente si dice che il secondo sia sempre il più difficile); si è affrancata decisamente dallo stile Winehouse (ma dubitiamo che abbia mai pensato di assomigliarle), dando ai suoi pezzi venature blues e gospel, con forti prese emotive dovute a testi sempre molto personali.
“21” (il vezzo di Adele è intitolare i suoi album con la sua attuale età) è un disco partorito in seguito alla fine di una relazione importante. Il disco comincia così senza giri di parole, con un chiaro rimando a quella storia. Il pezzo lo conoscete tutti, e a mio avviso è uno dei migliori singoli in circolazione in radio negli ultimi mesi, a conferma che la qualità, alla fine, paga sempre. Sto parlando di “Rolling in the deep”, ottima sintesi di ciò che troveremo nel disco: struttura pop, suoni blues, voce graffiante che ricorda la migliore Aretha Franklin, testi veri e dolorosi, controcanto gospel che dà un irresistibile taglio corale.
La partenza è sicuramente forte, ma molti altri pezzi nell’album tengono il passo. A cominciare da “Rumors has it” che si insinua sulla scia del primo singolo, mantenendo una sezione ritmica sostenuta; per continuare con “He wont’go” e “One and only”.
Poi, canzoni con un mood più spiccatamente intimo: “Someone like you” è il secondo singolo estratto, con il piano ad accompagnare tutta l’estensione vocale di cui Adele è capace; sofferta come “Turning tables” (tra i pezzi più convincenti) e come le ferite non ancora rimarginate di “Set Fire To The Rain” (“le mie mani erano forti ma le mie ginocchia troppo deboli per stare tra le tue braccia senza cadere ai tuoi piedi”.
In conclusione una chicca: una cover di “Lovesong” dei Cure che può accontentare anche le orecchie dark dei fan di Robert Smith e soci.
L’inglesina Adele, al secolo Adele Laurie Blue Adkin, ha dimostrato con “21” di non essere un bluff: poche delle voci che passano per radio hanno eguale talento e passione. Adele conferma che alla fine il valore e la personalità di un vero artista viene sempre a galla.

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