venerdì 26 agosto 2011

Informazione online gratis, addio


Da oggi consultare il NY Times non sarà più del tutto gratuito.
È giusto pagare per l’informazione online? “Paywall” e “Freemium”: i modelli di pagamento come influenzeranno la qualità dell’informazione?
Dopo tanto chiacchierare, finalmente è successo: da oggi, 28 marzo 2011, non sarà più possibile consultare in maniera illimitata e gratuita la versione on line del “New York Times”, probabilmente il quotidiano più famoso al mondo.

Arthur Ochs Sulzberger, presidente di “The New York Times Company”, lo aveva preannunciato da più di un anno, ma l’ufficialità è arrivata lo scorso 17 marzo, con una lettera che ha provveduto a pubblicare sulle pagine del proprio quotidiano.
Il nuovo piano di abbonamenti – studiato a lungo – lascia in realtà qualcosa di gratuito, ma cerca di far passare il concetto che coloro che producono informazione per l’online debbano essere trattati alla stregua di chi scrive per la carta stampata, ovvero essere pagati per le proprie competenze e capacità. Per coloro che vogliono consultare la versione digitale del “NY Times” sono disponibili tre piani tariffari: un primo pacchetto consente l’accesso a tutti i contenuti del sito del “New York Times” e all’applicazione per smartphone, e costa 15 dollari ogni quattro settimane. Un secondo pacchetto consente l’accesso a tutti i contenuti del sito del giornale e all’applicazione per tablet, e costa 20 dollari al mese. Un terzo pacchetto comprende tutti e tre i servizi – il sito, le app per smartphone e tablet – e costa 35 dollari ogni quattro settimane.
Rimangono gratuite, dicevamo, la possibilità di accedere sempre alla home page del sito, così come alle home delle varie sezioni; e l’opportunità di leggere fino a venti articoli gratuitamente ogni mese, a propria scelta (limite che non c’è se si arriva al sito tramite un social network).
La sfida è mettere un prezzo al nostro lavoro senza creare un muro fra noi e la rete globale e assicurandoci di continuare a impegnarci per un audience più vasta possibile” osserva Sulzerberg, riconoscendo di fatto la difficoltà di un’impresa ardua ma al contempo avvincente.
In effetti la scelta del giornale americano cerca di percorrere la strada solcata da Rupert Murdoch, il quale è assolutamente convinto che non possa esistere un informazione online di qualità che sia supportata dai soli introiti pubblicitari. Il tycoon australiano, infatti, fa già pagare per accedere al sito del “Wall Street Journal” col modello “paywall” che ha ottenuto successo, allo stesso modo del “Financial Times”: c’è però da dire che, in campo economico, è più facile riconoscere un valore “in soldoni” a notizie esclusive che possono costituire un vantaggio sui mercati.
Ecco perché quella del “NY Times” è una sfida avvincente: se il suo modello “freemium” (tra free, dovuto a qualche contenuto gratis, e premium, dovuto al pagamento di un abbonamento) risulterà vincente, ovvero garantirà introiti tali da assicurare un elevata qualità di scrittura giornalistica e permettere, magari nel medio-lungo periodo, la realizzazione di utili economici, mantenendo alte le quote di visitatori al sito, il giornale vedrà salire la sua reputazione alle stelle. Non solo guadagnerà più facilmente, ma aprirà di certo la strada a un nuovo tipo di trattamento di informazione giornalistica online che, sicuramente, sarà adottato da molte altre testate in giro per il mondo.
In questo senso, l’operazione del “NY Times” è coraggiosa, cerca di fare storia: e voi sareste disposti a pagare un abbonamento del genere per vedervi garantita un’informazione che sia davvero di qualità?

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