venerdì 26 agosto 2011

I "Poveri Cristi" siamo noi


Settimo appuntamento con la musica emergente italiana: tocca a Brunori SAS.
Dario Brunori viene da Cosenza, fa il cantautore, cataloga i suoi dischi a “volumi” (come faceva De Andrè), ha un nome d’arte che sembra quello di un’azienda: Brunori SAS.
Questa piccola descrizione non deve però farvi pensare al solito eclettico songwriter di provincia, alla ribalta per un singolo azzeccato o a qualche provocatoria uscita di cui i media hanno dato risalto. Brunori SAS, infatti, non è per niente venuto alla ribalta. Ovvero, forse ci sta arrivando, ma ancora non ho sentito una radio commerciale che mette un suo pezzo. E questo è male, perché vuol dire che non a tutti interessa far passare buona musica e, al contempo, fotografare con qualche canzone il tempo presente.
A Dario Brunori, invece, pare interessare solo quello: con la chitarra tra le braccia o con le dita sui tasti di una tastiera, dà vita a pezzi di 3-4 minuti molto orecchiabili. Il problema è che scrive di tentati suicidi, di tradimenti, di ricordi di chi è passato a un’altra vita lasciando sulla terra un grande vuoto, a chi si fa un culo così solo per sposarsi, e invece… Cioè, questo dovrebbe essere il problema?
Come una manna dal cielo nel panorama musicale italiano, ecco arrivare il Vol. 2 di Brunori, intitolato “Poveri Cristi”: il seguito del primo, edito un paio di anni fa, che con lo steso piglio scarnifica il presente, svelando quei dettagli squisitamente umani di cui sono fatte le storie delle persone che ci circondano, se non proprio le nostre personali storie.
Immaginatevi un cantautore uscito dal tunnel di Claudio Lolli (esserne usciti vuol dire essere ancora vivi e produttivi), di cui si riconoscono tracce in quel Giovane Mario che voleva essere milionario, ma che non riuscendoci con le scommesse decide di togliersi la vita: per sua sbadataggine, però, si tira giù tutto il solaio. Il Brunori ha certo il senso del grottesco: sentire per credere Rosa, singolo coinvolgente e ritmo da taranta-rock che ricorda il miglior Ivan Graziani (cantautore da rivalutare), dove il protagonista non riesce a sposarsi con la sua amata, dopo essere emigrato dalla Calabria a Milano in cerca di un lavoro in fabbrica.
Una domenica notte e Lei, lui, Firenze disegnano con onestà, da una parte, attimi in cui lo sconforto pare prendere il sopravvento (senza fortuna, alla fine) su una vita fatta di piccolesemplici felicità; dall’altra, i ricordi di un amore finito raccontati come davanti a un caffè, da soli, in un bar con di fronte lo splendore di Firenze. Brunori, in questo modo, cerca la canzone perfetta, cantabile e malinconica, che ci punge come uno spillo per tutte quelle volte in cui giriamo la testa dall’altra parte rispetto allo specchio, e non ci guardiamo invece dentro. Questo disco consiglia di ascoltarci ogni tanto, chè non fa male e non dobbiamo aver vergogna dei nostri sentimenti: in fondo siamo tutti Poveri Cristi.
Echi di melodie alla De Gregori echeggiano nella commovente Bruno mio dove sei (chi non ha mai sentito la mancanza di un padre, un fratello, un amico, in qualche attimo straziante), dove si guarda all’assenza con gli occhi di un bambino; e nella sognante Tra milioni di stelle, che chiude un album cantato con il cuore di chi sa di essere anch’egli un povero cristo, di non aver in fondo niente da perdere, di aver la semplice e felice passione di imbracciare una chitarra e cantare per guardarsi meglio allo specchio.

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