martedì 23 agosto 2011

I Grinderman incendiano Roma


Nick Cave è un indemoniato, probabilmente. Almeno questa è l’idea che mi sono fatto dopo averlo visto suonare dal vivo giovedì scorso all’Atlantico Live, nella tappa romana del tour europeo dei Grinderman. Dopo oltre 35 anni di carriera, dagli esordi in terra australiana alla formazione degli storici Bad Seeds (16 album in studio dal 1984), passando per cambiamenti di domicilio in mezzo mondo, “Re inchiostro” (da King Ink, un suo vecchio pezzo) non ha deciso di darsi una calmata. Anzi, ha rilanciato: ha preso da parte tre elementi dei fidati Bad Seeds per condurre un progetto parallelo, i Grinderman appunto, con un attitudine all’improvvisazione e all’anarchia degne delle band che hanno fatto la storia del rock.

Non proprio una cosa da tutti, insomma. Per essere un fan di lunga data dell’australiano, e dopo aver digerito con l’attitudine del ruminante tutti i suoi lavori, ho guardato con rinnovata curiosità alla sua carriera.
Sapevo di non aver sbagliato, e giovedì ne ho avuto la conferma. Ma andiamo con ordine.
Grinderman 2”, uscito lo scorso 13 settembre, mi aveva entusiasmato sin dal primo ascolto. Fa un certo effetto ascoltare una band di ultracinquantenni suonare con un atteggiamento quasi punk: sembra un paradosso, non riuscivo a farmene un’idea precisa. Finché non è arrivato il giorno del concerto.
I biglietti erano esauriti già da qualche giorno e l’Atlantico live era strapieno. Faceva molto caldo, stavamo stretti e si faticava quasi a respirare. Ma niente di tutto ciò è riuscito ad intromettersi nel lato sentimentale di questa specie di appuntamento atteso da anni: quando Mr. Cave e gli altri “semi cattivi” sono entrati, ci siamo sciolti tutti in un applauso catartico.
Certo, dopo aver ascoltato in cuffia i loro ultimi lavori, mi aspettavo un live energico. Ma quello che si è visto nella serata romana è andato ben oltre ogni aspettativa: l’uno-due iniziale (Mickey Mouse and the Goodbye man e Worm tamer) ha innalzato un muro di feedback imponente. La sezione ritmica, con l’elegante Martyn Casey al basso e l’imponente Jim Sclavunos, è stata da subito precisa, profonda e quasi tribale, riuscendo ad imporsi da subito al centro del mio petto, tanto da sostituirsi al battito del cuore e farmi scoprire una diversa concezione del concetto di vitalità.
Warren Ellis si è occupato del lato “rumoristico” del live: il barbuto polistrumentista, nonostante la sua esile fisicità, sa usare bene il suo corpo, tanto da dare la bizzarra impressione di essere lui stesso la musica. Ha suonato la chitarra con mani e piedi, a tratti violentandola, e servendosi spesso di altri strumenti come maracas, kazoo, piatti e violino. Senza contare il suo fondamentale apporto con la loop station: pezzi come Heathen child eWhen my baby comes non sarebbero stati altrimenti così oscuri.
Nick Cave non si è certo risparmiato: ciò che colpisce maggiormente è la sua capacità di interpretare le canzoni in modo fisico, teatrale. Sono molti i momenti in cui si indirizza direttamente al pubblico (epico il suo rivolgersi con arreso sarcasmo a una donna in platea inNo pussy blues), indicando col suo indice inquisitore (Love bomb Bellringer blues), inginocchiandosi sinuoso sul limitare del palco (Kitchenette), stuprando gli strumenti (Evil Honey bee).
Lui ed Ellis si scambiano posizioni e litri di sudore sul palco, noi da sotto siamo in completaempatia. I momenti di tregua sono pochi (su tutti una commovente versione di  Man in the moon), fino al tribalismo psichedelico dell’atto finale, il pezzo intitolato proprio Grinderman (in italiano sta ad indicare un “arrotino”!): un tributo quasi primordiale, spinto da effetti taglienti della loop station di Ellis, alla corporeità della musica.
L’impressione è quella di aver assistito ad una performance passionale, profonda, vera nell’accezione più viscerale del termine. Mi sono sentito sazio, pieno, vivo. Raramente – ho pensato uscendo a malincuore dal locale – la musica mi ha dato così tanto.

Nessun commento:

Posta un commento