martedì 23 agosto 2011

"Eataly": come insegnare l'alimentazione agli americani


La cucina italiana nel mondo riserva sempre sorprese. Tra le innumerevoli sfaccettature della ricca, per quanto giovane, cultura americana, il lato debole potrebbe essere rappresentato dalla gastronomia: in più di cinquecento anni, infatti, il prodotto che gli yankee sono riusciti ad esportare nel mondo come simbolo della propria cucina è un panino. Che in molti casi non è nemmeno saporito.
Viene quasi da sorridere, pensando ai piatti e ai prodotti che ogni giorno siamo abituati a trovare sulle nostre tavole.

Perché allora non provare ad esportare, anche con intenzioni didattiche,  la cultura gastronomica italiana in America? Questo devono essersi domandati quelli di “Eataly” che, 3 anni dopo la loro nascita, sono sbarcati oltreoceano. Con grandi ambizioni.
“Eataly” è un mercato enogastronomico che ha, oltre ad ovvi scopi commerciali, anche delle finalità che riguardano l’educazione alimentare: propone, tra le altre cose, corsi di cucina, degustazioni e corsi sulla corretta conservazione dei cibi. La prima sede è stata aperta a Torino nel 2007. Da allora il fondatore del marchio Oscar Farinetti, supportato dalla consulenza strategica di Carlo Petrini e del suo “Slow Food” (una garanzia di qualità nell’ambiente), ha aperto altre sedi in tutta Italia, prima di affacciarsi su mercati “appetibili” per la gastronomia italiana come quello di Tokyo e, in ultimo, quello di New York.
Il megastore aperto nella “Grande Mela” parte con numeri importanti: 25 milioni di dollari di budget per uno spazio di 7000 metri quadrati con affaccio su Madison Square; 400 dipendenti divisi tra l’agrogelateria, la pasticceria, l’angolo dove la mozzarella viene fatta a mano sotto gli occhi dei clienti (i ragazzi che la preparano si sono formati direttamente in Italia), 8 ristoranti monotematici dedicati a carne, pesce, salumi, pasta, pizza, verdura, formaggi e frutti di mare, oltre a un wine bar che fa le ore piccole.
È sicuramente una rilevante operazione commerciale, con molti importanti marchi enogastronomici del Bel Paese che hanno investito soldoni per avere delle esclusive e promuovere la propria immagine in USA: si va dallo spumante Ferrari al caffè Lavazza, dalla birra Moretti al Parmacotto e dal Parmigiano Reggiano al prosciutto San Daniele. Sappiamo bene che in Italia ci sono molti altri ottimi marchi che a “Eataly” magari non ci saranno: ma oltre il lato affaristico è fondamentale sottolineare l’operazione culturale che guida l’iniziativa.
Guardare una tavola italiana imbandita è come osservare la nostra cultura: ricca, colorata, varia, per tutti. È un piacere per occhi e palato. È un’eccellenza che non bisogna sottovalutare, oltre a rappresentare un aspetto culturale forte perché supportato datradizioni che si tramandano continuamente: infatti tutti possono riuscire a cucinare un buon piatto di spaghetti.
Esportare la dieta mediterranea, una cucina più leggera e digeribile, un’educazione al riconoscimento della qualità dei prodotti nel rispetto della propria salute è un’proposta culturale di grande maturità. Basti pensare che l’America è il paese con il più alto tasso di obesità nel mondo, dovuto proprio ad un’alimentazione non corretta.
La speranza è che operazioni come quella di “Eataly” riescano ad esportare l’idea del mangiar sano. In America si potrebbe cominciare proprio dai panini: li avranno mai provati con la mortadella, accompagnati da un buon bicchiere di Chianti?
Per saperne di più: sito ufficiale di EATALY

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