mercoledì 10 agosto 2011

Ho visto i Grinderman live…


Ho visto il concerto dei Grinderman a Roma e ora ho un problema: cos’altro di musicale potrà ancora emozionarmi così? Quale altra performance live andrò a cercarmi per tentare di avvicinarmi a questo grado di soddisfazione che ancora oggi, a più di due settimane dopo “l’evento”, continua a pervadermi? Ne ho ancora gli occhi pieni, così come li avevo all’uscita del concerto, e durante il giorno non posso fare a meno di distrarmi, a volte, e pensare di essere ancora lì in mezzo, tra tanta gente ma in realtà solo davanti all’appuntamento atteso da una vita.


E ora, con quali parole potrò cercare di rendervi minimamente le emozioni provate? Vorrei non scrivere nulla, avere la possibilità di riviverlo e… – ecco, mi sono distratto di nuovo, sono tornato al concerto. E questa volta ci resto.

Siamo in ritardo. No, siamo in anticipo. Fa freddo, ma dentro farà caldo. Aspettiamo “gli altri”, dove sono? In realtà non mi importa niente di nessuno, questo è il mio appuntamento personale con Nick Cave. Ovviamente “gli altri” non capiranno, o se ne sono già fatti una ragione. Sì, sono anni che ci penso. Quanti anni si può aspettare una cosa facendo sì che all’attesa si accompagni una crescente tensione positiva? Qual è il limite dopo il quale l’attesa annoia e si perde gusto ad aspettare? Florentino Ariza ha aspettato 53 anni, 7 mesi e 11 giorni, notti comprese, per la sua donna; io sono appena sei-sette anni che aspetto di vedere Nick Cave. Maledetto Garcia Marquez, ti odio! Ma sto prendendo tempo, lo so. Sono dentro al locale, ma lo so che tarderà. Ti seduce facendoti soffrire, come solo certe donne sanno fare.

Sono uno stoccafisso, o almeno una specie. “Gli altri” sbracciano, si scollacciano, già sudano: io resisto, insensibile. Pochi hanno la camicia e comincio a infastidirmi per la mancanza di rispetto; uno mi starnutisce addosso e scappa prima che possa fulminarlo con lo sguardo: ebbene sì, sono teso. A volte rido, scambio una battuta, ma è solo tensione. Mi aspetto troppo da quest’evento, mi deluderà. Faccio mente locale, perché sono qui? A parte la mia passione per Nick Cave, “Grinderman II” è un album straordinario, suonato con la foga dell’improvvisazione ma, al tempo stesso, risulta compatto e compiuto. Se fosse l’album di una band di sbarbatelli ventenni la critica si sarebbe sprecata in svariati “Osanna!”, “The next big thing”, “8,5/10” e roba del genere. Ma si tratta di cinquantenni che suonano da una vita, mica possono sorprendere più di tanto. Ma andate a cagare e guardatevi il video di “Heaten Child” e poi ne riparliamo… sì, è l’attesa che mi rende nervoso, ma qualcosa si muove sul palco. Eccoli, sono loro.

Il problema è che sono pronto: ho consumato dvd, bootleg e video su you tube, mi aspetto un live energico. Forse mi sono preparato troppo, come farò a farmi sorprendere? Il fatto è che vederli in video è una cosa, ma quando prima Ellis, Sclavonus e Casey entrano e poi entra lui, “King Ink”, dimentico tutto, tutto si scioglie, torno al presente e comincio a guardare con gli occhi meravigliati di un bambino.Oblìo. Agitazione. Qualcosa che si avvicina al concetto di felicità.

Casey comincia a splettrare sul basso, sono giusto due note che riesco a sentire in gola: parte “Mickey Mouse & the Goodbye man”. Sclavunos è concentrato e preciso,Ellis è un folletto, crea musica dissonante mai sentita prima: è un demiurgo. L’inizio è folgorante e oscuro, entrano senza sosta in scaletta “Heathen child”, “Worm tamer”, “Evil”: i pezzi suonano oscuri e cattivissimi e riportano fedelmente quella vena tenebrosa del disco. E poi c’è Lui, che recita i suoi testi con voce viscerale e piglio ardente – sembra di stare a teatro! Salta come un demonio da un lato all’altro del palco, violenta la chitarra come a volergli strappare l’anima, prova a suonare la tastiera anche con i piedi, indica con indice inquisitore gli astanti, si inginocchia implorante: mi si para davanti la scena di un uomo arreso alle malizie insolenti di una donna. È il Blues del senza-figa (“No pussy blues”). Il delirio, puro art-rock. Questo è Nick Cave.

E io sono sorpreso dalle emozioni che si susseguono al centro del mio petto, dove al posto del cuore si è ormai sostituita la sezione ritmica dei Grinderman: forse dipendo da loro, la mia vita non sarà più la stessa. E sono sorpreso anche da ciò che mi sta intorno: mi rendo conto che l’appuntamento non è più solo mio. Il pubblico è attivo ma educato, attento a partecipare al momento giusto e ad assorbire tutta l’energia stillante dal sudore di quei quattro lassù, che pure non si risparmiano mai. Comincio a pensare in prima persona plurale: è la catarsi.

Bellringer Blues”, “Palaces of Montezuma”, “Honey Bee” e “Love Bomb” sono eseguite con l’anima, scarnificata dagli Artisti apposta per noi che lì c’eravamo; e le cito, tra le altre, solo per farvi sentire colpevoli – sì, voi che leggete! – per non essere stati lì.
I suoni corrosivi del polistrumentista Warren Ellis devono avermi incattivito: ma io non ho mai visto un musicista tanto fisico in vita mia, suonare con i piedi, sdraiato per terra, cercando le percussioni con tutte le parti del suo corpo. Cosa manca per l’estasi?

I Grinderman tornano dentro per una pausa. Una volta riusciti ci danno in pasto una commovente versione di “Man in the moon”, prima del primordiale atto finale. Il pezzo si chiama proprio “Grinderman” (in italiano: arrotino) e la loop station di Ellis comincia ad emettere ululati taglienti e ossessivi, accompagnata dai piatti mai domi di Sclavonus e dal profondo e cadenzato battito di basso di Casey. Nick Cave è al centro del palco, camicia bianca sbottonata per metà, sembra in trance. Continua ad arringare la folla: “I’m the grinderman, yes, I am!”. Si inginocchia, prostrato sul microfono a simulare lo stridio delle lame di coltelli da affilare. Ellis strazia la chitarra e percuote piatti con le maracas. Sembra di essere in un quadro che disegna l’apocalisse; è un tributo totale alla corporeità della musica; è la lezione di Blixa Bargeld e degli Einsturzende Neubauten che i Grinderman mettono in pratica; è una performance di body art; è musica oltre la musica che sembra rumore.

Soprattutto, è la degna conclusione di un’esibizione che possa dirsi Artistica. I professionisti se ne vanno, seguo Nick Cave con lo sguardo fino a che non sparisce dal mio campo visivo. Ci ha salutati dandoci appuntamento entro un anno.
Sarà vero? E io, in tutto questo tempo, cosa farò? Come allenterò la tensione dell’attesa?
Sono sazio di musica come mai lo ero stato prima, orgoglioso per aver realizzato un sogno. E sì, credo di essere felice.
Rimarrò ancora qui, almeno per un altro po’. Mi tocca aspettare i Bad Seeds…


(Pubblicato su Axxonn.it il 25/10/2010)

Nessun commento:

Posta un commento