In questi tempi di incertezza, non c’è niente di meglio
che veder ripagata la propria fiducia. Nel nostro caso, parliamo della fiducia
che le orecchie accordano da sempre al vecchio “Zio” Tom Waits, che dall’alto dei suoi 62 anni sforna un disco di
inediti magnifico. Nessun usato sicuro, quindi, ma tutta roba di prima mano che
– alla solita maniera di Waits – sembra uscita da cantine e locali polverosi,
per suonare allo stesso tempo diabolica e commovente.
Il disco si intitola “Bad as me” e arriva sette anni dopo l’ultima raccolta di inediti,
quel “Real Gone” datato 2004. In mezzo c’era stato quella sorta di enciclopedia
in tre dischi quale “Orphans: Brawlers, Bawlers & Bastards”, praticamente
un sunto della sua carriera che solo un grande
musicista si può regalare per i suoi primi 60 anni.
Tom Waits, per chi non lo conoscesse, è un sopravvissuto
alla stagione degli eccessi del rock – anche se da sempre bazzica sponde più
blues e jazz – da considerare alla stregua di gente come Lou Reed (con cui condivide un animo profondamente beatnik) o Iggy
Pop (memorabile l’episodio che hanno girato insieme per “Coffe &
Cigarettes” di Jim Jarmush). Cantautore da sempre – il primo disco è “Closing
Time” del 1973 – Waits si caratterizza per il suo blues sbilenco e rumoristico, per l’attitudine all’improvvisazione
jazzistica e per una vena romantico-decadente da chi è consapevole di aver
vissuto in maniera anarchica, assaporando e rischiando la vita come un poeta
della beat generation.
Ora, la sua vita sul “lato sbagliato della strada”
(citazione dalla sua vecchia “Wrong side of the road”), diventa più un fardello
malinconico che un gagliardetto da appuntare con fierezza al petto. Tuttavia,
anche se gli anni sono passati, la stoffa del maestro non passa. Anzi, si affina. Ed ecco arrivare questo “Bad as
me”, che parte subito a razzo col blues psicotico di Chicago, un pezzo che sarebbe stato perfetto anche
nell’indimenticabile “Swordfishtrombones”.
Al blues del diavolo Waits ci ha da sempre abituato, e
dimostra di non aver perso il vizio nemmeno in canzoni come Get Lost e Hell Broke Luce. La compagnia è quella di sempre, con la
moglie-produttrice Kathleen Brennan a fianco e un supergruppo alle spalle, con
le chitarre di Marc Ribot e Dave Hidalgo
e le percussioni di Casey, suo figlio. Ad impreziosire il tutto, però, ci sono
delle ospitate niente male: Flea dei
RHCP (al basso nella già citata Hell
Broke Luce), Les Claypool e Keith Richards (la sua chitarra firma Last Leaf). Insomma, mica roba da tutti
i giorni!
Tra richiami gospel (Satisfied)
e ballate malinconiche ed empatiche, tirate fuori nella loro cruda verità dalla
voce unica e graffiante del vecchio Zio Tom (Face to the Highway e una Back
in the crowd che strizza l’occhio al migliore Elvis), si arriva al gran finale di New Year’s Eve: il tono bluegrass del pezzo, col ritmo cadenzato e
il banjo in primo piano, suona perfetto per un capodanno strappalacrime.
E il consiglio finale è
proprio questo: ascoltate questo disco fino al 31 dicembre. Non vi stancherà,
perché Tom Waits è uno dei grandi poeti
in musica ed è in gran forma. E lasciate perdere le discoteche per l’ultimo
dell’anno. Trovatevi un angoletto, magari con la persona che amate:
abbracciatevi e mettete su New Year’s Eve.
Sarà una grande emozione.Pubblicato il 07/11/2011 su Ghigliottina.it
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