mercoledì 23 novembre 2011

Il rigore più lungo del mondo

E altre storie di Osvaldo Soriano, un narratore di sogni

Da quando conosco i racconti di Osvaldo Soriano, uno dei miei sogni irrealizzabili è quello di avere un poster della squadra argentina dell’Estrella Polar, o una foto di me che abbraccio El Gato Diaz, il portiere eroe di una partita di calcio rimasta nella storia della letteratura.

L’Estrella Polar, una miseranda squadra della Patagonia, contende il titolo di campione regionale al glorioso Deportivo Belgrano, in vantaggio di un punto in classifica. Nell’ultima partita si affrontano proprio le due squadre: l’Estrella è in vantaggio per 2 a 1, ma negli ultimi minuti l’arbitro decide di fischiare un rigore inesistente per il Belgrano. Rissa, invasione, spari in aria, partita sospesa. Si riprenderà la domenica successiva, coi cancelli chiusi e soli venti secondi per battere il rigore. Che El Gato Diaz para, con la sicurezza che mai aveva avuto prima, per dimostrare di che pasta era fatto alla rubia Ferreira, la donna di cui era innamorato.
“Così - scrive Soriano - quel rigore durò una settimana ed è, se nessuno mi dimostra il contrario, il più lungo della storia”. (Il racconto originale potete trovarlo QUI).

Osvaldo Soriano, scrittore argentino amante di calcio e democrazia, è un personaggio quasi mitico, nottambulo e grande fumatore. E che amava scrivere storie d’altri tempi, epiche e romantiche. Come quelle raccolte in Fùtbol o in Pensare con i piedi (entrambi editi da Einaudi), dove sono raccolti molti dei suoi scritti dedicati al calcio (alcuni dei quali sono stati editi per la prima volta sulle pagine de Il Manifesto). Come quella in cui Obdulio Varela racconta di come il suo Uruguay riuscì a vincere la Coppa del Mondo nel 1950, contro i padroni di casa del Brasile che, nel loro Maracanà di Rio, sembravano imbattibili. O quelle della sua infanzia da calciatore promettente, alle prese con allenatori sgangherati di provincia, e col sogno di andare a giocare a Buenos Aires. Sogno interrotto da un brutto infortunio che ne pregiudicò la carriera, per la gioia di molti amanti della lettura.

Come nella migliore tradizione sudamericana, negli scritti di Soriano la realtà si mescola con la fantasia più poetica, rincorrendo con naturalezza quel “realismo magico” tanto caro, per fare un esempio, a Gabriel Garcia Marquez. Nascono così racconti come L’autunno del ‘53, in cui Soriano (che all’epoca aveva dieci anni) racconta di una partita di piccoli calciatori che avrebbe dovuto fare la storia dell’Argentina: “…Avevamo un autobus decisamente sgangherato, indegno dell’azione patriottica che il generale Peròn ci aveva affidato. Andavamo a giocare una partita di pallone contro gli inglesi delle Falkland, i quali si erano impegnati, nel caso avessimo vinto, ad accettare che le isole si sarebbero chiamate Malvinas per sempre e su tutte le carte del mondo”.
Oppure ancora lo scrittore argentino ci narra, con l’aiuto del figlio di Butch Cassidy - un personaggio creato dai suoi sogni – del mondiale di calcio del 1942 (mai disputato realmente, causa guerra) vinto dagli indios mapuches e giocato a Ushuaia, la città più meridionale del mondo.

Tra le righe, viene descritta un’Argentina nostalgica, terra di emigranti e di speranze, anche se povera nella sua provincia. Gli anni del Perònismo evocati come un qualcosa di conturbante, con la figura di Evita Peròn che spesso si staglia in maniera ingenuamente orgogliosa. E poi i ricordi del padre, il fascino dei viaggi in treno, l’amore per i gialli – a proposito, Triste, solitario y final, il suo romanzo più famoso, prende in prestito come protagonista Philip Marlowe, detective nato in realtà dalla penna di Raymond Chandler.

Osvaldo Soriano se ne è andato prematuramente, a 54 anni. Sarebbe bello che la sua opera godesse di maggiore considerazione, soprattutto per prendere con più poesia calcio e politica: quei mondi, sempre più corrotti, a cui ineluttabilmente ci appassioniamo.

Nessun commento:

Posta un commento