Da quando
conosco i racconti di Osvaldo Soriano,
uno dei miei sogni irrealizzabili è quello di avere un poster della squadra
argentina dell’Estrella Polar, o una foto di me che abbraccio El Gato Diaz, il
portiere eroe di una partita di calcio rimasta nella storia della letteratura.
L’Estrella
Polar, una miseranda squadra della Patagonia, contende il titolo di campione
regionale al glorioso Deportivo Belgrano, in vantaggio di un punto in
classifica. Nell’ultima partita si affrontano proprio le due squadre:
l’Estrella è in vantaggio per 2 a 1, ma negli ultimi minuti l’arbitro decide di
fischiare un rigore inesistente per
il Belgrano. Rissa, invasione, spari in aria, partita sospesa. Si riprenderà la
domenica successiva, coi cancelli chiusi e soli venti secondi per battere il
rigore. Che El Gato Diaz para, con
la sicurezza che mai aveva avuto prima, per dimostrare di che pasta era fatto
alla rubia Ferreira, la donna di cui era innamorato.
“Così -
scrive Soriano - quel rigore durò una settimana ed è, se nessuno mi dimostra il
contrario, il più lungo della storia”. (Il racconto originale potete trovarlo
QUI).
Osvaldo
Soriano, scrittore argentino amante di calcio
e democrazia, è un personaggio quasi mitico, nottambulo e grande fumatore.
E che amava scrivere storie d’altri tempi, epiche e romantiche. Come quelle
raccolte in Fùtbol o in Pensare con i piedi (entrambi editi da Einaudi),
dove sono raccolti molti dei suoi scritti dedicati al calcio (alcuni dei quali
sono stati editi per la prima volta sulle pagine de Il Manifesto). Come quella in cui Obdulio Varela racconta di come il suo Uruguay riuscì a vincere la Coppa del Mondo nel 1950, contro i
padroni di casa del Brasile che, nel loro Maracanà di Rio, sembravano
imbattibili. O quelle della sua infanzia da calciatore promettente, alle prese
con allenatori sgangherati di provincia, e col sogno di andare a giocare a Buenos Aires. Sogno interrotto da un
brutto infortunio che ne pregiudicò la carriera, per la gioia di molti amanti
della lettura.
Come nella
migliore tradizione sudamericana, negli scritti di Soriano la realtà si mescola
con la fantasia più poetica, rincorrendo con naturalezza quel “realismo magico” tanto caro, per fare
un esempio, a Gabriel Garcia Marquez. Nascono così racconti come L’autunno del ‘53, in cui Soriano (che
all’epoca aveva dieci anni) racconta di una partita di piccoli calciatori che
avrebbe dovuto fare la storia dell’Argentina: “…Avevamo un autobus decisamente
sgangherato, indegno dell’azione patriottica che il generale Peròn ci aveva
affidato. Andavamo a giocare una partita di pallone contro gli inglesi delle Falkland, i quali si erano impegnati,
nel caso avessimo vinto, ad accettare che le isole si sarebbero chiamate
Malvinas per sempre e su tutte le carte del mondo”.
Oppure ancora
lo scrittore argentino ci narra, con l’aiuto del figlio di Butch Cassidy - un personaggio creato dai suoi sogni –
del mondiale di calcio del 1942 (mai disputato realmente, causa guerra) vinto
dagli indios mapuches e giocato a Ushuaia, la città più meridionale del mondo.
Tra le righe,
viene descritta un’Argentina nostalgica,
terra di emigranti e di speranze, anche se povera nella sua provincia. Gli anni
del Perònismo evocati come un qualcosa di conturbante, con la figura di Evita Peròn che spesso si staglia in
maniera ingenuamente orgogliosa. E poi i ricordi del padre, il fascino dei
viaggi in treno, l’amore per i gialli – a proposito, Triste, solitario y final, il suo romanzo più famoso, prende in
prestito come protagonista Philip
Marlowe, detective nato in realtà dalla penna di Raymond Chandler.
Osvaldo
Soriano se ne è andato prematuramente, a 54 anni. Sarebbe bello che la sua
opera godesse di maggiore considerazione, soprattutto per prendere con più poesia calcio e politica: quei mondi,
sempre più corrotti, a cui ineluttabilmente ci appassioniamo.
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