giovedì 29 settembre 2011

La carneficina di Polanski


“Carnage”: un cast stellare per un dramma da camera quasi teatrale.
L’ultimo film di Roman Polanski, "Carnage", presentato all’ultima mostra cinematografica del cinema di Venezia, è girato in un appartamento. Oltre la prima e l’ultima inquadratura, non si va oltre le quattro mura di una casa nel cuore di Manhattan.
I quattro protagonisti rimangono così in cattività, come sul palco di un teatro – non a caso il soggetto è stato ripreso dalla pièce teatrale di Yasmin Reza, “Il dio della carneficina” –  a scarnificarsi l’anima.

Tuttavia Polanski non ha bisogno di dissimulare l’ovvia forzatura, forte di una sceneggiatura che concepisce il film con i ritmi di una feroce commedia, e di un cast di prim’ordine, composto da tre premi oscar (Kate Winslet, Jodie Foster, Christoph Waltz) e un altrettanto talentuoso John C. Reilly.
I coniugi Longstreet (Foster-Reilly) invitano i Cowan nel proprio appartamento per discutere civilmente riguardo all’incidente capitato ai loro figli pre-adolescenti, i quali si erano azzuffati fuori dalla scuola. Roba da ragazzi, certo, ma il figlio dei Longstreet ne è uscito con due incisivi rotti. I genitori si approcciano al fatto con un atteggiamento paziente e saggio, convinti di far riappacificare i due scapestrati senza problemi. Ma niente va come dovrebbe.
Il tentativo di comprensione del comportamento dei loro figli è venato da una tensione sotterranea, che il regista sapientemente fa fuoriuscire poco a poco. È un dramma della verità di quanto siano deboli gli ideali di convivenza democratica di fronte al consumismo di natura American Dream: ogni buona intenzione è messa in secondo piano di fronte a un telefono Blackberry che trilla in continuazione, una rivista d’arte rovinata irrimediabilmente da un improvviso conato di vomito (scena cult!), una borsa costosa.
A nulla vale rinchiudere i quattro in una casa per fare un po d’ordine: ogni tentativo di riconciliazione perde senso di fronte a una dialettica sempre più feroce, in un linguaggio che resta sempre su un registro fortemente ironico e dissacrante.
Il segreto dell’ottima resa del film sta così nel suo ritmo e nel suo svolgersi in una durata non eccessiva (79’). Polanski svela ancora una volta il lato oscuro che c’è in ognuno di noi, che esplode ancor più ferocemente in un confronto medio-borghese, dove regnano soprattutto l’incomunicabilità e l’ineluttabile impulso di attaccarsi a vicenda. L’unica conclusione a cui arrivano le coppie non è una soluzione riguardo all’iniziale controversia, bensì la presa di coscienza della loro infelicità.
Con l’inquadratura finale viene meno anche la presunzione di saggezza del mondo adulto: ripresi da lontano, i due ragazzi protagonisti del misfatto si riappacificano e tornano spensieratamente ad essere compagni di scuola. Una sequenza di confronto, come a dire che un ruolo in società finisce solo per corromperti. Beata giovinezza.

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