mercoledì 30 novembre 2011

Donne che non torneranno (mai più)


I sacrifici delle ragazze nell’Italia fascista, nell’ultimo film di Pupi Avati

Maschi rozzi e virili, donnaioli per vocazione. Donne sacrificate in casa, ciniche coi loro mariti, ma con un’immensa capacità di sopportazione. Quale ragazza, al giorno d’oggi, riuscirebbe a sopportare un adulterio, riuscendo a ingoiarlo per rispondere a un fine che oggi spesso dimentichiamo, quello della coesione familiare? Quale ragazza, al giorno d’oggi, ha un cuore così grande?

Le donne dell’Italia di provincia ricordata da Pupi Avati il cuore grande ce l’avevano, nonostante il peso da portare a volte fosse molto greve. Era l’Italia dei nostri nonni, povera e semplice, in cui restare uniti voleva significare maggiori possibilità di sperare in un futuro migliore. Era l’Italia dei piccoli paesi, del fascismoa volte di sottofondo, cristiana e formale. E lo sguardo di Avati è piuttosto nostalgico.

Il cuore grande delle ragazze”, presentato all’ultimo “Festival Internazionale del film di Roma”, ha il tono della commedia agrodolce, godibile ma non memorabile. Siamo nell’Italia contadina, nella provincia emiliana, dei primi anni’30. La famiglia Vigetti ha tre figli: il piccolo Edo (che in realtà è colui che racconta la storia, nella voce fuori campo), la sorella Sultana che è rinchiusa in casa in attesa delle mestruazioni che non arrivano da dieci anni, e l’ignorante ma affascinante Carlino, interpretato da Cesare Cremonini.

Carlino è colui che ha ereditato la vocazione di donnaiolo dal padre (Andrea Roncato): è un ragazzaccio che fa innamorare le ragazze col suo fare ardito e il suo alito che profuma di biancospino.  Se la gode finchè può, ma un giorno i genitori, per non essere sfrattati dalla casa in cui abitavano, gli intimano di maritarsi con una delle due figlie (bruttine) degli Osti, ricchi proprietari terrieri. Lui viene convinto di malavoglia, ma l’apparizione di una terza figlia degli Osti (la bella Micaela Ramazzotti) sconvolge i piani di tutti. Come prevedibile, i due si innamorano e si sposano – nonostante il risentimento della famiglia di lei. Ma non vivono proprio felici e contenti…

"Le donne di allora avevano una grande capacità di sopportazione - racconta la Ramazzotti - È un talento quello di sopportare un tradimento. Oggi le donne hanno la capacità di capire le debolezze e le fragilità umane. Io sono sposata (con Paolo Virzì, ndr): ho un rapporto equilibrato, sano, misurato ma se mi tradisce lo ammazzo". Effettivamente sembra questo l’intento del regista: aprire uno squarcio su un mondo che ci apparteneva ma che forse non tornerà mai più.

La pellicola non verrà sicuramente ricordata come una delle più memorabili del regista emiliano, lontano dall’emotività raggiunta in film in cui scandagliava i drammi dell’esistenza (Il padre di Giovanna e Una sconfinata giovinezza, su tutti). Eppure funge da specchio sul passato, con lo stratagemma del ricordo, per farci riflettere. Cambia la società e cambiano anche le persone, ma forse un po’ di quel cuore – istintivo e generoso – oggi ci manca.





Pubblicato il 30/11/2011 su Ghigliottina.it

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